domenica 5 giugno 2011

Parole, parole e non solo

Causa sviluppo di nuove tecnologie che mi hanno portata a far passare a miglior destinazione il mio vecchio cellulare aziendale, il quale grazie al riciclaggio potrei probabilmente trovare trasformato in gruccia o un phon per capelli nel giro di qualche mese, nel mezzo di questo trapasso mi sono ritrovata nel menù generale dello stesso. Una schermata molto limpida a esalare le sue ultime comunicazioni prima del saluto finale: 40 giorni. Cosa , 40 giorni? Il tempo trascorso al telefono da quando possedevo quel cellulare. 40 giorni. Imponendomi un sorriso di gratitudine alla piccola tecnologia così lungamente al mio fianco, appena dopo il saluto finale e la rimozione della SIM card, ecco che penso alla cosa più importante: 40 giorni. E nessuna conversazione che riesca a ricordare per una durata superiore ai 20 minuti. C’era davvero bisogno di impiegare 40 giorni per comunicare e ricevere tutte le comunicazioni fatte? Così ripenso in un batter d’occhio (devo recuperare tempo) a quanto imparato lungo i miei percorsi formativi. E penso a lui. Il genitore della comunicazione: Paul Watzlawick. Fù proprio Paul, che nel lontano 1967, dal lontano nuovo continente, dava vita al capostipite degli assiomi della comunicazione: “E’ impossibile non comunicare”. E facendo sempre un breve (sempre causa recupero tempo perso) excursus canoro tra il repertorio della “tigre di Cremona”, ricordo che la comunicazione và ben oltre ciò che cantava lei, in uno dei suoi brani più conosciuti. Le Parole infatti, influiscono solo per un 7% su quanto viene recepito a seguito di un messaggio vocale, mentre Volume, Tono e Ritmo contano per un 38%, appena sotto i Movimenti del Corpo, che la fanno da padroni con un 55%.


Certo impedimenti spaziali portano a obbligate comunicazioni verbali, scritte o parlate che siano, ma nel resto dei casi, studi sulla comunicazione ci fanno sapere che si riesce a ottenere meglio e prima il passaggio di un messaggio, attraverso tutto il restante tipo di repertorio comunicativo che un telefono esclude.

E le parole non sempre aiutano inoltre. Spesso anzi, sono in contrasto con quanto i nostri gesti, la così detta cinestesica, comunica. Mi viene in mente l’espressione più usata da alcune donne “Caro, dobbiamo parlare”, che credo potrebbe essere usata come monito ai lavoratori di imprese coloniche e Roma si sarebbe fatta in un giorno, pur di evitare quel tanto apparentemente gentile dialogo. Per cui sì alla comunicazione paraverbale, sì alle espressioni del viso, sì ai gesti, sì soprattutto all’ascolto che trascendendo i principi della comunicazione è alla base di qualsiasi soluzione strategica. E forse, la prossima volta che vi ritroverete a dialogare al telefono, in corsa verso quei 40 giorni, la prossima frase che vi verrà da dire potrà essere “ci vediamo appena possiamo?”. Un paio di ore, le risparmierete di certo.



Laura Grassi

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