Mettiamo che facciate gli scrittori. Sì, in questo caso preferisco utilizzare il verbo “fare”, piuttosto che “essere”, in quanto “fare lo scrittore” è la diretta conseguenza dell’esserlo. Ovvero, per farla breve, passati gli anni in cui ci si sente scrittori, ci si accorge che ci si comporta davvero come tali.
Beh, ci si scopre dei recettori di ogni minimo dialogo, paesaggio ed emozione. Tutto ciò che ci troviamo davanti può essere fonte di ispirazione, più o meno consapevolmente. Ecco che allora ci si renderà conto che lo scrittore “si fa” proprio quando vi troverete a fare cose che la vostra persona, dissociata dal vostro ruolo professionale, non farebbe mai. Tipo ritrovarsi a domandare cosa significhi la collana che porta al collo un africano in centro a Roma, oppure ascoltare per ore parlare una persona noiosa, solo per capire meglio la sua personalità e metterla nel magazzino di idee su cui scrivere. Insomma, in tutta questa sopraffazione dell’Arte, potrebbe accadere che vi troviate a scrivere di una persona che sia bene o male entrata a fare parte della vostra vita. Conseguenza, del vostro averne scritto, non causa. Mettiamo anche che ciò che ne abbiate scritto sia risultato particolarmente piacevole a chi vi deve pubblicarlo. Esageriamo immaginando, neanche troppo, che quello che avete scritto mossi da una sensazione, venga ritenuto qualcosa di cui si possa ipotizzare un cortometraggio. Bene, anzi, male se siete uno scrittore sensibile. Potrebbe succedervi di porvi il dubbio che ciò di cui abbiate scritto non appartenga interamente a voi, ma che debba essere in qualche modo dovuto a chi ve l’ha ispirato e che sia lecito e soprattutto giusto averne un suo parere prima di lavorarci a tutto tondo. Potreste pensare di far avere una copia dello scritto al soggetto in questione, in attesa della sua opinione, giusto per vostra etica, non perché possa cambiare quanto avete scritto, poiché non è fedele alla realtà, ma è opera della vostra elaborazione.
Ecco, a questo punto, chiudete gli occhi e immaginate davanti a voi un cartello luminoso con la scritta “warning”, equivalente dell’italiano “attenzione”. Poiché se siete stati voi a scrivere un racconto, la storia, vi potrebbe ripagare con una commedia degli equivoci.
Settimana uno: “non l’ho ancora letto” e voi “ma sì, era solo per avere il tuo parere, così lavoro io”. Tradotto: “accidenti non ho tempo di leggerlo ora”, e voi “figurati, fai con calma, io ora sto facendo altre cose”.
Settimana due: voi “cavolo, ma forse è meglio che, al di là del parere del mio soggetto, recupero il mio materiale, che gli dico all’editore?” a cui segue una telefonata recupero-funzionale che stimola il pensiero altrui su “non pensavo ne avessi bisogno subito, voglio dirti il mio parere, ora che l’ho letto…forse. Non ti interessa saperlo?”.
Settimana tre: anche se la vostra risposta alla domanda precedente fosse stata affermativa, non ci è più dato sapere il pensiero del soggetto “ispirante”. Fatto sta che lo scrittore, sprovvisto del suo scritto cartaceo, allergico alle telefonate e esitante nei confronti del tipografo, si maledice nell’aver consegnato il cartaceo e capisce che la sua etica professionale va modificata e che qualcuno prima di lui deve aver pensato la stessa cosa, avendo liberato gli scrittori dall’incastro con le persone di cui scrivono con la magica formula del… “ogni riferimento è puramente casuale” e alla domanda “a cosa si è ispirato scrivendo tutto ciò?”, l’efficace “ho molta fantasia” corredato da un sorriso andrà benissimo.
Ovviamente valido anche per tutto ciò di cui ho scritto ora.
Se però si volesse restituirmi qualcosa, posso sempre aggiornare il post con la settimana quattro…^_^
Laura Grassi
Cosa fare, non fare e tutto quel che c'è nel mezzo, qua e là per il mondo
sabato 17 maggio 2008
giovedì 15 maggio 2008
L'odore del pane, Ludovico Einaudi e la morfina
Lunedì mattina.
Mi prende alle spalle mentre distratta attraverso una delle vie di Lucca, illuminata dal sole di mezzogiorno. Mi coglie impreparata, perché non mi aspettavo di poterlo trovare lì, così quotidiano, così mite, in un qualsiasi giorno, pronto a stupirmi con la sua semplicità.
All’improvviso il mio sbattere le ciglia sembra riportarmi a Parigi, dove lo incontravo ad ogni angolo, lui dal quale mi facevo accompagnare nelle mie passeggiate alla scoperta della città.
Impalpabile sensazione di benessere che permea il mio olfatto e ne modifica la memoria.
Lui, l’odore del pane.
Nel viaggio verso Firenze penso all’odore delle cose a all’importanza dei sensi. Di come, abituati ad usarli in sincrono, non siamo quasi più in grado di riconoscerne le singolari caratteristiche e di dare a ciascuno di essi la propria giusta attenzione.
Mi concentro sull’olfatto. Chiudo gli occhi, sollevo le mani dalle gambe, separo la lingua dall’abbraccio alla caramella, escludo i suoni e lascio parlare l’odore dell’asfalto. Londra. Odore di Roma le mattine di luglio, dei pullman la sera tardi. Associazioni. Gli odori funzionano dunque per associazioni? Sorrido e penso al profumo che ho portato con me. Quello che domani sarà poggiato in gocce sulle punta delle mie dita, così che svegliandomi, ne riconoscerò l’odore. Di quell’estate 2007 e del coraggio che l’ha caratterizzata. Associazioni, e il coraggio arriverà sull’onda della memoria, perché se non siamo noi a ricordare gli odori, sono loro a conservare i nostri ricordi.
Martedì porta il nome di Ludovico. E’ stato Marco a farmelo conoscere e nella mia riflessione sui sensi calza a pennello. Vorrei escludere la sensazione di dolore, del mio corpo che combatte per delle fitte provocate da un taglio benefico, ed ecco Ludovico.
Udito, esclusa la vista, per la prima volta ascolto e vedo la musica. Ogni brano è un racconto diverso, basta spostare l’attenzione su uno dei tanti particolari che lo compongono. Efficace terapia del dolore, potrei affermare di stare danzando sulla spiaggia, piuttosto che godermi la penombra della stanza con il suo alito di vento ad accarezzarmi le ferite. Grazie Ludovico. Anche e soprattutto per il tuo colpo di tosse in “Divenire”, che mi fa pensare che non c’è vita senza un singhiozzo spiritoso. Come un colpo di tosse in un brano.
Mercoledì, la regina dei non-vizi, scopre di essere stata tenuta per mano dal pifferaio magico-flebo anestetizzante. E io che mi facevo coraggiosa, scopro che la mia forza era niente meno che la debolezza di molti.
Fine dei giochi, del non-sentire, riecco il dolore, a braccetto di Ludovico, che è stato eletto miglior medicina possibile, lo evito sorridente ed ecco tornare anche il mio computer.
Se qualche giorno fa parlavo della vita come di un videogioco, posso dire che alla mia negli ultimi giorni si sono aggiunte un bel po’ di tacchettine bonus.
Risultato: qualche kg in meno, molta autostima conquistata, il fantasticare su me come possibile nuovo personaggio di Super Mario, la consapevolezza di riuscire ad essere esigente “causa lavoro” anche quando sto male e…. ovviamente tutto ciò che ho scritto in questo post.
Laura Grassi
Si ringrazia: le infermiere dell’Ospedale Careggi di Firenze, reparto maternità.
Ludovico Einaudi, celeberrimo compositore e pianista italiano, le cui canzoni mi hanno assistita.
Non ringrazio chi ha pensato agli oppiacei come antidolorifici.
Mi prende alle spalle mentre distratta attraverso una delle vie di Lucca, illuminata dal sole di mezzogiorno. Mi coglie impreparata, perché non mi aspettavo di poterlo trovare lì, così quotidiano, così mite, in un qualsiasi giorno, pronto a stupirmi con la sua semplicità.
All’improvviso il mio sbattere le ciglia sembra riportarmi a Parigi, dove lo incontravo ad ogni angolo, lui dal quale mi facevo accompagnare nelle mie passeggiate alla scoperta della città.
Impalpabile sensazione di benessere che permea il mio olfatto e ne modifica la memoria.
Lui, l’odore del pane.
Nel viaggio verso Firenze penso all’odore delle cose a all’importanza dei sensi. Di come, abituati ad usarli in sincrono, non siamo quasi più in grado di riconoscerne le singolari caratteristiche e di dare a ciascuno di essi la propria giusta attenzione.
Mi concentro sull’olfatto. Chiudo gli occhi, sollevo le mani dalle gambe, separo la lingua dall’abbraccio alla caramella, escludo i suoni e lascio parlare l’odore dell’asfalto. Londra. Odore di Roma le mattine di luglio, dei pullman la sera tardi. Associazioni. Gli odori funzionano dunque per associazioni? Sorrido e penso al profumo che ho portato con me. Quello che domani sarà poggiato in gocce sulle punta delle mie dita, così che svegliandomi, ne riconoscerò l’odore. Di quell’estate 2007 e del coraggio che l’ha caratterizzata. Associazioni, e il coraggio arriverà sull’onda della memoria, perché se non siamo noi a ricordare gli odori, sono loro a conservare i nostri ricordi.
Martedì porta il nome di Ludovico. E’ stato Marco a farmelo conoscere e nella mia riflessione sui sensi calza a pennello. Vorrei escludere la sensazione di dolore, del mio corpo che combatte per delle fitte provocate da un taglio benefico, ed ecco Ludovico.
Udito, esclusa la vista, per la prima volta ascolto e vedo la musica. Ogni brano è un racconto diverso, basta spostare l’attenzione su uno dei tanti particolari che lo compongono. Efficace terapia del dolore, potrei affermare di stare danzando sulla spiaggia, piuttosto che godermi la penombra della stanza con il suo alito di vento ad accarezzarmi le ferite. Grazie Ludovico. Anche e soprattutto per il tuo colpo di tosse in “Divenire”, che mi fa pensare che non c’è vita senza un singhiozzo spiritoso. Come un colpo di tosse in un brano.
Mercoledì, la regina dei non-vizi, scopre di essere stata tenuta per mano dal pifferaio magico-flebo anestetizzante. E io che mi facevo coraggiosa, scopro che la mia forza era niente meno che la debolezza di molti.
Fine dei giochi, del non-sentire, riecco il dolore, a braccetto di Ludovico, che è stato eletto miglior medicina possibile, lo evito sorridente ed ecco tornare anche il mio computer.
Se qualche giorno fa parlavo della vita come di un videogioco, posso dire che alla mia negli ultimi giorni si sono aggiunte un bel po’ di tacchettine bonus.
Risultato: qualche kg in meno, molta autostima conquistata, il fantasticare su me come possibile nuovo personaggio di Super Mario, la consapevolezza di riuscire ad essere esigente “causa lavoro” anche quando sto male e…. ovviamente tutto ciò che ho scritto in questo post.
Laura Grassi
Si ringrazia: le infermiere dell’Ospedale Careggi di Firenze, reparto maternità.
Ludovico Einaudi, celeberrimo compositore e pianista italiano, le cui canzoni mi hanno assistita.
Non ringrazio chi ha pensato agli oppiacei come antidolorifici.
giovedì 8 maggio 2008
se doveste incontrare una scrittice...

Colei in cui vi state imbattendo è una scrittrice, ovvero un'attenta osservatrice di ciò che la circonda, una pagina bianca, pronta a captare ogni mossa, gesto, azione e significato, per poi tradurla in parole che andranno ad abitare i suoi racconti.
Se vi doveste mai presentare a un giardiniere con una piantina, sicuramente vi istruirà su come prendervene cura, su come farla crescere. Se battendo le mani sul tavolo, in attesa che un cameriere venga a prendere il vostro ordine e vicino a voi si dovesse trovare un musicista, potrebbe raccontare quella vostra attesa impaziente in note e pause. Se passeggiando per la città doveste mai rimanere estasiati difronte a un suo scenario, e un pittore si trovasse a passare di lì, potrebbe regalare il vostro volto al soggetto della sua prossima tela.
Ma se doveste incontrare una scrittice, badate bene, non si può fingere con lei.
Come il pittore vede nei volti, e il musicista nei suoni, la scrittrice "vede" nelle parole, le ascolta con attenzione, le lascia accoccolare sulla poltroncina della sua fantasia e, dopo averne cucito un abito, vi farà apparire, nel modo in cui in lei vi siete specchiati. Semplice traduttrice delle cose non dette, non fatte, ma dei "vorrei" e "farei", dove i "se" sono in estinzione, perchè...tutto è possibile alle parole.
London is a bad habit one hates to lose
Mi sono messa a scrivere una mail ma è uscito questo racconto... Stile Londinese? Mah, non so neanche io. So solo che per una spugna umana come me Londra è un turbinio di emozioni di ogni tipo. Cosa ne verrà fuori ancora non so. Per il momento mi lascio scivolare addosso l'inglese, anche se credo sia rimasto sulla punta delle dita e mischiandosi all'Italiano sta creando non pochi problemi. Riminiscenze di quando a 9anni ero tornata da tre mesi a NY. Il tema di prima media era una cozzaglia di congiuntivi usati al posto di altri tempi verbali più consoni. Però ora che sono una scrittrice e a giudicarmi ci dovrebbe essere non solo una, ma una decina di insegnanti, insieme ,spero, a molti altri addetti ai lavori, il problema si pone. E non si risolve con un brutto voto!!! Ehehe.. Opto per mele in allegato al libro per tutti quanti.(molto anni '50, ok).
Follia a parte... Oxford street è come me la ricordavo. Due marciapiedi calpestati dai piedi appartenenti a persone delle più svariate etnie, che dialogano animatamente con le mani occupate da un caffè formato gigante e da sacchetti che confessano uno shopping a cui è stato dedicato molto. Sia in termini di tempo che di denaro. Ma in tutto questo andare e venire nessuno sembra incontrarsi davvero e a raccontare non sono più le parole ma altro. Quando occhi perfettamente truccati che appaiono unici segni di riconoscimento di molte, troppe non posso dirlo, donne che vestono un burka. Parlano forte con lo sguardo, ma forse sono io che immagino quanto vogliano raccontare mentre comprano make up. Altre ancora con il solo hijab che sembra rendere tutto il suo significato, non tanto di velo, ma quanto di separazione. Da noi altri, dal mondo, o forse da quelle che davvero vorrebbero essere. Se solo fosse diverso... A Oxford street c'è posto per tutti questi pensieri se solo ti fermi ad osservare. Sguardi veloci, mai fissi negli occhi. Nessuno si deve accorgere che stai notando. Forse potrebbe pensare che esiste? Questo pensiero me lo porto in tasca, lo adopero spesso. La little Italy di Londra rimane sempre Harrods. Meta di turisti con cartina alla mano, perennemente imbronciati e che ancora non hanno imparato che sugli autobus da una parte si sale a dall'altra si scende, non si fanno le cose a caso. Avviso qualcuno che tiene la borsa in maniera distratta, parlando in maniera disinvolta con gli amici, di fare attenzione. Rubano portafogli, mi è successo ieri. Mi guardano sbigottiti. Bravi a fare gli spavaldi solo quando si fa per ridere e inorriditi al pensiero che qualcuno possa violare la loro invulnerabilità. Ringraziano. Se li deruberanno sarò stata annunciatrice di svenure, se non, se ne dimenticheranno. Non ho ancora capito le dimensioni di Kigh Street Kensington, sembra sempre infinta, eppure così piccola. Mi piace provare ogni volta a tornare a casa a piedi, ma poi sugli ultimi chilometri i piedi cedono al grande mezzo rosso che passa davanti a loro con il numero 9. Autobus.
Follia a parte... Oxford street è come me la ricordavo. Due marciapiedi calpestati dai piedi appartenenti a persone delle più svariate etnie, che dialogano animatamente con le mani occupate da un caffè formato gigante e da sacchetti che confessano uno shopping a cui è stato dedicato molto. Sia in termini di tempo che di denaro. Ma in tutto questo andare e venire nessuno sembra incontrarsi davvero e a raccontare non sono più le parole ma altro. Quando occhi perfettamente truccati che appaiono unici segni di riconoscimento di molte, troppe non posso dirlo, donne che vestono un burka. Parlano forte con lo sguardo, ma forse sono io che immagino quanto vogliano raccontare mentre comprano make up. Altre ancora con il solo hijab che sembra rendere tutto il suo significato, non tanto di velo, ma quanto di separazione. Da noi altri, dal mondo, o forse da quelle che davvero vorrebbero essere. Se solo fosse diverso... A Oxford street c'è posto per tutti questi pensieri se solo ti fermi ad osservare. Sguardi veloci, mai fissi negli occhi. Nessuno si deve accorgere che stai notando. Forse potrebbe pensare che esiste? Questo pensiero me lo porto in tasca, lo adopero spesso. La little Italy di Londra rimane sempre Harrods. Meta di turisti con cartina alla mano, perennemente imbronciati e che ancora non hanno imparato che sugli autobus da una parte si sale a dall'altra si scende, non si fanno le cose a caso. Avviso qualcuno che tiene la borsa in maniera distratta, parlando in maniera disinvolta con gli amici, di fare attenzione. Rubano portafogli, mi è successo ieri. Mi guardano sbigottiti. Bravi a fare gli spavaldi solo quando si fa per ridere e inorriditi al pensiero che qualcuno possa violare la loro invulnerabilità. Ringraziano. Se li deruberanno sarò stata annunciatrice di svenure, se non, se ne dimenticheranno. Non ho ancora capito le dimensioni di Kigh Street Kensington, sembra sempre infinta, eppure così piccola. Mi piace provare ogni volta a tornare a casa a piedi, ma poi sugli ultimi chilometri i piedi cedono al grande mezzo rosso che passa davanti a loro con il numero 9. Autobus.
sabato 26 aprile 2008
LUCCA
Amo Lucca la notte, quando si fa silenziosa e golosa dei pensieri delle gente, che al ritmo dei passi vengono lasciati scivolare lenti sul suo dorso. Amo il senso di vuoto che genera attesa di essere riempito, il suo essere teatro in attesa degli attori e il permesso che gentile concede a noi passeggiatori solitari di inventarcene un po’. Amo le sue concessioni, che ci fa distratta. Ci lascia accoccolare ai suoi edifici antichi, nei suoi loggiati nascosti e nelle vie troppo strette, di cui sembra essere dimentica. Amo Lucca che guarda alla Luna di notte e ti lascia sognare e raccontare le favole, ma di giorno, ti punta in viso il Sole e ti chiede il perché del tuo attraversarla leggera. Amo il suo farmi sentire la testa pesante se non la vado a trovare, amo il suo sedurmi con le stelle riflesse sul prato, in cambio di una storia da raccontarle. Non accetta bugie, non accetta realtà. Solo fantasie da realizzarsi, questo è il patto che si fa con lei.
venerdì 25 aprile 2008
Itaca, Kavafis
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d'incontri
se il pensiero resta alto e il sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga
che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche aromi
penetranti d'ogni sorta, più aromi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca
- raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Costantinos Kavafis
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d'incontri
se il pensiero resta alto e il sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga
che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche aromi
penetranti d'ogni sorta, più aromi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca
- raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Costantinos Kavafis
Intolerance
Torno da una passeggiata mattutina in città, ed eccomi qui a vomitare uno sfogo...
Svegliata all'alba dal suono delle tradizioni italo/lucchesi, che vogliono sì celebrare il 25aprile festa nazionale, ma farlo proprio quando sorge il sole, a suon di tamburi e trombe.
Quel che mi viene in mente è che mancano esattamente 250giorni alla fine dell'anno, e solo 3 all'intervento di mia mamma. Temo entrambi in modi diversi. L'idea di dover passare altri 250giorni (che erroneamente prima ho digitato "gironi"...) in Italia mi terrorizza, e il sentire il tempo battermi le ore all'intervento di mamma altrettanto.
Decido di alzarmi e vestirmi, alla faccia del mio mal di pancia cronico, a ricordarmi ogni giorno (ancora "girono"...) che qualcosa non mi va proprio giù.
Vestito verde di seta. Quello vintage comprato in un negozietto sconosciuto, struccata e nascosta dietro un paio di occhiali da sole, profumata di albicocca e vaniglia, con Rudy al seguito, mi addentro per la città.
E sembra proprio di immergersi in una densa cioccolata. Tutto così amalgamato e corretto. Tutto così prevedibile e scontato. Famiglie con bambini, rumeni in gruppo, stranieri muniti di machina fotografica e di spirito di esplorazione, che quel che urta me, è caratteristico per loro.
I-pod, tecnologia del nostro millennio, salvami. Cantami, o piccolo mezzo tecnologico, le ire di chi come me si è davvero stancato. Random Play e così mi ricordo di non vivere più dentro l' Happy Hour, di non volere che questa sensazione duri un'estate sola e di domandarmi perchè i miei sogni non si sono ancora avverati. Grazie a Ligabue, Negramaro e Annie Lennox. Cammino più forte, sorrido sotto gli occhiali, più con la bocca che con gli occhi. E' uno sforzo del cuore, è una continua visualizzazione di quello che non c'è. Non in assoluto, ma qui.
Anche Rudy mi guarda spaesato, chissà se anche lui si domanda come me e si sente estraneo a quanto lo circonda. Lo prendo in braccio e mi lecca. Unico contatto reale, che proviene da un essere che spesso credo sia più umano di molti.
Se non è il mio passo veloce, è il mio vestito, o il mio cane, o i miei capelli rossi e mossi ad attirare l'attenzione. Sono diventata anche io una piccola attrazione, una di quelle cose da indicare col dito se si è più spavaldi, o da commentare sottovoce se si è più codardi, o semplicemente Italiani.
Io che faccio tutto ciò solo per dichiarare prepotentemente di essere al mondo, di essere in questa piccola città e di volerla abitare, e non di farmi abitare dalle sue consuetudini e buone maniere. Io che credo ci siano milioni di vestiti al mondo che raccontino altrettanti modi di essere, e che non capisco perchè attorno a me vedo le solite scarpe, magliette o tagli di capelli.
Voglio essere me stessa, nessun altro. Voglio avere il coraggio di esserlo, con tutti i miei non-vizi e con la mia rabbia.
Sono intollerante della non tolleranza. Sono la nota fuori dallo spartito e non sta bene. Sono quella per cui ci si porta la mano al viso incontrandola, il giorno dopo una notte passata insieme a raccontarsi. Sono quella che forse non troverà mai, ma che non smette di cercare. Sono quella a cui non si sa cosa dire, a meno che non la si conosca e allora, si sa, che si può e si deve dire tutto.
Mancano ancora 250 “Gironi” alla fine dell'anno. Spero gli altri siano meglio di questo, che porta il nome di una liberazione che purtroppo sembra ancora molto lontana.
Svegliata all'alba dal suono delle tradizioni italo/lucchesi, che vogliono sì celebrare il 25aprile festa nazionale, ma farlo proprio quando sorge il sole, a suon di tamburi e trombe.
Quel che mi viene in mente è che mancano esattamente 250giorni alla fine dell'anno, e solo 3 all'intervento di mia mamma. Temo entrambi in modi diversi. L'idea di dover passare altri 250giorni (che erroneamente prima ho digitato "gironi"...) in Italia mi terrorizza, e il sentire il tempo battermi le ore all'intervento di mamma altrettanto.
Decido di alzarmi e vestirmi, alla faccia del mio mal di pancia cronico, a ricordarmi ogni giorno (ancora "girono"...) che qualcosa non mi va proprio giù.
Vestito verde di seta. Quello vintage comprato in un negozietto sconosciuto, struccata e nascosta dietro un paio di occhiali da sole, profumata di albicocca e vaniglia, con Rudy al seguito, mi addentro per la città.
E sembra proprio di immergersi in una densa cioccolata. Tutto così amalgamato e corretto. Tutto così prevedibile e scontato. Famiglie con bambini, rumeni in gruppo, stranieri muniti di machina fotografica e di spirito di esplorazione, che quel che urta me, è caratteristico per loro.
I-pod, tecnologia del nostro millennio, salvami. Cantami, o piccolo mezzo tecnologico, le ire di chi come me si è davvero stancato. Random Play e così mi ricordo di non vivere più dentro l' Happy Hour, di non volere che questa sensazione duri un'estate sola e di domandarmi perchè i miei sogni non si sono ancora avverati. Grazie a Ligabue, Negramaro e Annie Lennox. Cammino più forte, sorrido sotto gli occhiali, più con la bocca che con gli occhi. E' uno sforzo del cuore, è una continua visualizzazione di quello che non c'è. Non in assoluto, ma qui.
Anche Rudy mi guarda spaesato, chissà se anche lui si domanda come me e si sente estraneo a quanto lo circonda. Lo prendo in braccio e mi lecca. Unico contatto reale, che proviene da un essere che spesso credo sia più umano di molti.
Se non è il mio passo veloce, è il mio vestito, o il mio cane, o i miei capelli rossi e mossi ad attirare l'attenzione. Sono diventata anche io una piccola attrazione, una di quelle cose da indicare col dito se si è più spavaldi, o da commentare sottovoce se si è più codardi, o semplicemente Italiani.
Io che faccio tutto ciò solo per dichiarare prepotentemente di essere al mondo, di essere in questa piccola città e di volerla abitare, e non di farmi abitare dalle sue consuetudini e buone maniere. Io che credo ci siano milioni di vestiti al mondo che raccontino altrettanti modi di essere, e che non capisco perchè attorno a me vedo le solite scarpe, magliette o tagli di capelli.
Voglio essere me stessa, nessun altro. Voglio avere il coraggio di esserlo, con tutti i miei non-vizi e con la mia rabbia.
Sono intollerante della non tolleranza. Sono la nota fuori dallo spartito e non sta bene. Sono quella per cui ci si porta la mano al viso incontrandola, il giorno dopo una notte passata insieme a raccontarsi. Sono quella che forse non troverà mai, ma che non smette di cercare. Sono quella a cui non si sa cosa dire, a meno che non la si conosca e allora, si sa, che si può e si deve dire tutto.
Mancano ancora 250 “Gironi” alla fine dell'anno. Spero gli altri siano meglio di questo, che porta il nome di una liberazione che purtroppo sembra ancora molto lontana.
passato
Semplicemente.
Nel tempo che ci avvolge, lascio che l'aria arrivi leggera a dondolarsi un po’. E sono in viaggio, lo sono sempre stato, in corsa o in attesa, sospeso sull'alto del mondo. Morbide come seta le mie dita ad accarezzare il vento, a sentirlo respirare lentamente su di me. Terra che veloce scorre sotto le mie ruote, parte di vita che scappa via ed altra che si avvicina. Dove mi porterà lo scoprirò, ora è solo tempo di viaggiare. Con lo sguardo all'orizzonte e la vita tra le dita, come questo soffiare i miei ricordi e scompigliarli ancora un po’.
Parlami ora, vento leggero.
Raccontami in silenzio dove mi guiderai, scopri le pieghe e le lunghe attese. Scosta i dolori, culla i rumori di questa voglia di cantare, di voler toccar la luce ora velata e sentire che il mio sole ancora c'è. Sulle mie dita disegna poi la strada dei tuoi colori, di posti lontani in cui arrivare, semplicemente col mio ballare. Tu che parli la mia stessa lingua e che ti vesti con gli abiti miei. Tu che mi insegni quando aspettare e quando vivere di pause giuste, che rifletti l’orizzonte in uno specchio, in uno specchio dentro me.
Riporta a me i ricordi, come soffi di luce verso memoria a volte sopita. E se la forza verrà a mancare, tu, veloce, arriva e lasciati guardare. Ricordami i leggeri sospiri, le mani ancora da sfiorare, e in viaggio ancora, tra le pieghe del tempo, saprò tornare.
Sì, a viaggiare.
Grazie al mio amico Marco Decrestina, viaggiatore musicista che con me ha scritto questo post ben un anno fa.
Nel tempo che ci avvolge, lascio che l'aria arrivi leggera a dondolarsi un po’. E sono in viaggio, lo sono sempre stato, in corsa o in attesa, sospeso sull'alto del mondo. Morbide come seta le mie dita ad accarezzare il vento, a sentirlo respirare lentamente su di me. Terra che veloce scorre sotto le mie ruote, parte di vita che scappa via ed altra che si avvicina. Dove mi porterà lo scoprirò, ora è solo tempo di viaggiare. Con lo sguardo all'orizzonte e la vita tra le dita, come questo soffiare i miei ricordi e scompigliarli ancora un po’.
Parlami ora, vento leggero.
Raccontami in silenzio dove mi guiderai, scopri le pieghe e le lunghe attese. Scosta i dolori, culla i rumori di questa voglia di cantare, di voler toccar la luce ora velata e sentire che il mio sole ancora c'è. Sulle mie dita disegna poi la strada dei tuoi colori, di posti lontani in cui arrivare, semplicemente col mio ballare. Tu che parli la mia stessa lingua e che ti vesti con gli abiti miei. Tu che mi insegni quando aspettare e quando vivere di pause giuste, che rifletti l’orizzonte in uno specchio, in uno specchio dentro me.
Riporta a me i ricordi, come soffi di luce verso memoria a volte sopita. E se la forza verrà a mancare, tu, veloce, arriva e lasciati guardare. Ricordami i leggeri sospiri, le mani ancora da sfiorare, e in viaggio ancora, tra le pieghe del tempo, saprò tornare.
Sì, a viaggiare.
Grazie al mio amico Marco Decrestina, viaggiatore musicista che con me ha scritto questo post ben un anno fa.
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