Mettiamo che facciate gli scrittori. Sì, in questo caso preferisco utilizzare il verbo “fare”, piuttosto che “essere”, in quanto “fare lo scrittore” è la diretta conseguenza dell’esserlo. Ovvero, per farla breve, passati gli anni in cui ci si sente scrittori, ci si accorge che ci si comporta davvero come tali.
Beh, ci si scopre dei recettori di ogni minimo dialogo, paesaggio ed emozione. Tutto ciò che ci troviamo davanti può essere fonte di ispirazione, più o meno consapevolmente. Ecco che allora ci si renderà conto che lo scrittore “si fa” proprio quando vi troverete a fare cose che la vostra persona, dissociata dal vostro ruolo professionale, non farebbe mai. Tipo ritrovarsi a domandare cosa significhi la collana che porta al collo un africano in centro a Roma, oppure ascoltare per ore parlare una persona noiosa, solo per capire meglio la sua personalità e metterla nel magazzino di idee su cui scrivere. Insomma, in tutta questa sopraffazione dell’Arte, potrebbe accadere che vi troviate a scrivere di una persona che sia bene o male entrata a fare parte della vostra vita. Conseguenza, del vostro averne scritto, non causa. Mettiamo anche che ciò che ne abbiate scritto sia risultato particolarmente piacevole a chi vi deve pubblicarlo. Esageriamo immaginando, neanche troppo, che quello che avete scritto mossi da una sensazione, venga ritenuto qualcosa di cui si possa ipotizzare un cortometraggio. Bene, anzi, male se siete uno scrittore sensibile. Potrebbe succedervi di porvi il dubbio che ciò di cui abbiate scritto non appartenga interamente a voi, ma che debba essere in qualche modo dovuto a chi ve l’ha ispirato e che sia lecito e soprattutto giusto averne un suo parere prima di lavorarci a tutto tondo. Potreste pensare di far avere una copia dello scritto al soggetto in questione, in attesa della sua opinione, giusto per vostra etica, non perché possa cambiare quanto avete scritto, poiché non è fedele alla realtà, ma è opera della vostra elaborazione.
Ecco, a questo punto, chiudete gli occhi e immaginate davanti a voi un cartello luminoso con la scritta “warning”, equivalente dell’italiano “attenzione”. Poiché se siete stati voi a scrivere un racconto, la storia, vi potrebbe ripagare con una commedia degli equivoci.
Settimana uno: “non l’ho ancora letto” e voi “ma sì, era solo per avere il tuo parere, così lavoro io”. Tradotto: “accidenti non ho tempo di leggerlo ora”, e voi “figurati, fai con calma, io ora sto facendo altre cose”.
Settimana due: voi “cavolo, ma forse è meglio che, al di là del parere del mio soggetto, recupero il mio materiale, che gli dico all’editore?” a cui segue una telefonata recupero-funzionale che stimola il pensiero altrui su “non pensavo ne avessi bisogno subito, voglio dirti il mio parere, ora che l’ho letto…forse. Non ti interessa saperlo?”.
Settimana tre: anche se la vostra risposta alla domanda precedente fosse stata affermativa, non ci è più dato sapere il pensiero del soggetto “ispirante”. Fatto sta che lo scrittore, sprovvisto del suo scritto cartaceo, allergico alle telefonate e esitante nei confronti del tipografo, si maledice nell’aver consegnato il cartaceo e capisce che la sua etica professionale va modificata e che qualcuno prima di lui deve aver pensato la stessa cosa, avendo liberato gli scrittori dall’incastro con le persone di cui scrivono con la magica formula del… “ogni riferimento è puramente casuale” e alla domanda “a cosa si è ispirato scrivendo tutto ciò?”, l’efficace “ho molta fantasia” corredato da un sorriso andrà benissimo.
Ovviamente valido anche per tutto ciò di cui ho scritto ora.
Se però si volesse restituirmi qualcosa, posso sempre aggiornare il post con la settimana quattro…^_^
Laura Grassi
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