sabato 17 maggio 2008

Ogni riferimento è puramente casuale...

Mettiamo che facciate gli scrittori. Sì, in questo caso preferisco utilizzare il verbo “fare”, piuttosto che “essere”, in quanto “fare lo scrittore” è la diretta conseguenza dell’esserlo. Ovvero, per farla breve, passati gli anni in cui ci si sente scrittori, ci si accorge che ci si comporta davvero come tali.
Beh, ci si scopre dei recettori di ogni minimo dialogo, paesaggio ed emozione. Tutto ciò che ci troviamo davanti può essere fonte di ispirazione, più o meno consapevolmente. Ecco che allora ci si renderà conto che lo scrittore “si fa” proprio quando vi troverete a fare cose che la vostra persona, dissociata dal vostro ruolo professionale, non farebbe mai. Tipo ritrovarsi a domandare cosa significhi la collana che porta al collo un africano in centro a Roma, oppure ascoltare per ore parlare una persona noiosa, solo per capire meglio la sua personalità e metterla nel magazzino di idee su cui scrivere. Insomma, in tutta questa sopraffazione dell’Arte, potrebbe accadere che vi troviate a scrivere di una persona che sia bene o male entrata a fare parte della vostra vita. Conseguenza, del vostro averne scritto, non causa. Mettiamo anche che ciò che ne abbiate scritto sia risultato particolarmente piacevole a chi vi deve pubblicarlo. Esageriamo immaginando, neanche troppo, che quello che avete scritto mossi da una sensazione, venga ritenuto qualcosa di cui si possa ipotizzare un cortometraggio. Bene, anzi, male se siete uno scrittore sensibile. Potrebbe succedervi di porvi il dubbio che ciò di cui abbiate scritto non appartenga interamente a voi, ma che debba essere in qualche modo dovuto a chi ve l’ha ispirato e che sia lecito e soprattutto giusto averne un suo parere prima di lavorarci a tutto tondo. Potreste pensare di far avere una copia dello scritto al soggetto in questione, in attesa della sua opinione, giusto per vostra etica, non perché possa cambiare quanto avete scritto, poiché non è fedele alla realtà, ma è opera della vostra elaborazione.
Ecco, a questo punto, chiudete gli occhi e immaginate davanti a voi un cartello luminoso con la scritta “warning”, equivalente dell’italiano “attenzione”. Poiché se siete stati voi a scrivere un racconto, la storia, vi potrebbe ripagare con una commedia degli equivoci.
Settimana uno: “non l’ho ancora letto” e voi “ma sì, era solo per avere il tuo parere, così lavoro io”. Tradotto: “accidenti non ho tempo di leggerlo ora”, e voi “figurati, fai con calma, io ora sto facendo altre cose”.
Settimana due: voi “cavolo, ma forse è meglio che, al di là del parere del mio soggetto, recupero il mio materiale, che gli dico all’editore?” a cui segue una telefonata recupero-funzionale che stimola il pensiero altrui su “non pensavo ne avessi bisogno subito, voglio dirti il mio parere, ora che l’ho letto…forse. Non ti interessa saperlo?”.
Settimana tre: anche se la vostra risposta alla domanda precedente fosse stata affermativa, non ci è più dato sapere il pensiero del soggetto “ispirante”. Fatto sta che lo scrittore, sprovvisto del suo scritto cartaceo, allergico alle telefonate e esitante nei confronti del tipografo, si maledice nell’aver consegnato il cartaceo e capisce che la sua etica professionale va modificata e che qualcuno prima di lui deve aver pensato la stessa cosa, avendo liberato gli scrittori dall’incastro con le persone di cui scrivono con la magica formula del… “ogni riferimento è puramente casuale” e alla domanda “a cosa si è ispirato scrivendo tutto ciò?”, l’efficace “ho molta fantasia” corredato da un sorriso andrà benissimo.
Ovviamente valido anche per tutto ciò di cui ho scritto ora.

Se però si volesse restituirmi qualcosa, posso sempre aggiornare il post con la settimana quattro…^_^
Laura Grassi

giovedì 15 maggio 2008

L'odore del pane, Ludovico Einaudi e la morfina

Lunedì mattina.
Mi prende alle spalle mentre distratta attraverso una delle vie di Lucca, illuminata dal sole di mezzogiorno. Mi coglie impreparata, perché non mi aspettavo di poterlo trovare lì, così quotidiano, così mite, in un qualsiasi giorno, pronto a stupirmi con la sua semplicità.
All’improvviso il mio sbattere le ciglia sembra riportarmi a Parigi, dove lo incontravo ad ogni angolo, lui dal quale mi facevo accompagnare nelle mie passeggiate alla scoperta della città.
Impalpabile sensazione di benessere che permea il mio olfatto e ne modifica la memoria.
Lui, l’odore del pane.
Nel viaggio verso Firenze penso all’odore delle cose a all’importanza dei sensi. Di come, abituati ad usarli in sincrono, non siamo quasi più in grado di riconoscerne le singolari caratteristiche e di dare a ciascuno di essi la propria giusta attenzione.
Mi concentro sull’olfatto. Chiudo gli occhi, sollevo le mani dalle gambe, separo la lingua dall’abbraccio alla caramella, escludo i suoni e lascio parlare l’odore dell’asfalto. Londra. Odore di Roma le mattine di luglio, dei pullman la sera tardi. Associazioni. Gli odori funzionano dunque per associazioni? Sorrido e penso al profumo che ho portato con me. Quello che domani sarà poggiato in gocce sulle punta delle mie dita, così che svegliandomi, ne riconoscerò l’odore. Di quell’estate 2007 e del coraggio che l’ha caratterizzata. Associazioni, e il coraggio arriverà sull’onda della memoria, perché se non siamo noi a ricordare gli odori, sono loro a conservare i nostri ricordi.
Martedì porta il nome di Ludovico. E’ stato Marco a farmelo conoscere e nella mia riflessione sui sensi calza a pennello. Vorrei escludere la sensazione di dolore, del mio corpo che combatte per delle fitte provocate da un taglio benefico, ed ecco Ludovico.
Udito, esclusa la vista, per la prima volta ascolto e vedo la musica. Ogni brano è un racconto diverso, basta spostare l’attenzione su uno dei tanti particolari che lo compongono. Efficace terapia del dolore, potrei affermare di stare danzando sulla spiaggia, piuttosto che godermi la penombra della stanza con il suo alito di vento ad accarezzarmi le ferite. Grazie Ludovico. Anche e soprattutto per il tuo colpo di tosse in “Divenire”, che mi fa pensare che non c’è vita senza un singhiozzo spiritoso. Come un colpo di tosse in un brano.
Mercoledì, la regina dei non-vizi, scopre di essere stata tenuta per mano dal pifferaio magico-flebo anestetizzante. E io che mi facevo coraggiosa, scopro che la mia forza era niente meno che la debolezza di molti.
Fine dei giochi, del non-sentire, riecco il dolore, a braccetto di Ludovico, che è stato eletto miglior medicina possibile, lo evito sorridente ed ecco tornare anche il mio computer.
Se qualche giorno fa parlavo della vita come di un videogioco, posso dire che alla mia negli ultimi giorni si sono aggiunte un bel po’ di tacchettine bonus.
Risultato: qualche kg in meno, molta autostima conquistata, il fantasticare su me come possibile nuovo personaggio di Super Mario, la consapevolezza di riuscire ad essere esigente “causa lavoro” anche quando sto male e…. ovviamente tutto ciò che ho scritto in questo post.

Laura Grassi

Si ringrazia: le infermiere dell’Ospedale Careggi di Firenze, reparto maternità.
Ludovico Einaudi, celeberrimo compositore e pianista italiano, le cui canzoni mi hanno assistita.
Non ringrazio chi ha pensato agli oppiacei come antidolorifici.

giovedì 8 maggio 2008

se doveste incontrare una scrittice...


Colei in cui vi state imbattendo è una scrittrice, ovvero un'attenta osservatrice di ciò che la circonda, una pagina bianca, pronta a captare ogni mossa, gesto, azione e significato, per poi tradurla in parole che andranno ad abitare i suoi racconti.

Se vi doveste mai presentare a un giardiniere con una piantina, sicuramente vi istruirà su come prendervene cura, su come farla crescere. Se battendo le mani sul tavolo, in attesa che un cameriere venga a prendere il vostro ordine e vicino a voi si dovesse trovare un musicista, potrebbe raccontare quella vostra attesa impaziente in note e pause. Se passeggiando per la città doveste mai rimanere estasiati difronte a un suo scenario, e un pittore si trovasse a passare di lì, potrebbe regalare il vostro volto al soggetto della sua prossima tela.

Ma se doveste incontrare una scrittice, badate bene, non si può fingere con lei.

Come il pittore vede nei volti, e il musicista nei suoni, la scrittrice "vede" nelle parole, le ascolta con attenzione, le lascia accoccolare sulla poltroncina della sua fantasia e, dopo averne cucito un abito, vi farà apparire, nel modo in cui in lei vi siete specchiati. Semplice traduttrice delle cose non dette, non fatte, ma dei "vorrei" e "farei", dove i "se" sono in estinzione, perchè...tutto è possibile alle parole.

London is a bad habit one hates to lose

Mi sono messa a scrivere una mail ma è uscito questo racconto... Stile Londinese? Mah, non so neanche io. So solo che per una spugna umana come me Londra è un turbinio di emozioni di ogni tipo. Cosa ne verrà fuori ancora non so. Per il momento mi lascio scivolare addosso l'inglese, anche se credo sia rimasto sulla punta delle dita e mischiandosi all'Italiano sta creando non pochi problemi. Riminiscenze di quando a 9anni ero tornata da tre mesi a NY. Il tema di prima media era una cozzaglia di congiuntivi usati al posto di altri tempi verbali più consoni. Però ora che sono una scrittrice e a giudicarmi ci dovrebbe essere non solo una, ma una decina di insegnanti, insieme ,spero, a molti altri addetti ai lavori, il problema si pone. E non si risolve con un brutto voto!!! Ehehe.. Opto per mele in allegato al libro per tutti quanti.(molto anni '50, ok).

Follia a parte... Oxford street è come me la ricordavo. Due marciapiedi calpestati dai piedi appartenenti a persone delle più svariate etnie, che dialogano animatamente con le mani occupate da un caffè formato gigante e da sacchetti che confessano uno shopping a cui è stato dedicato molto. Sia in termini di tempo che di denaro. Ma in tutto questo andare e venire nessuno sembra incontrarsi davvero e a raccontare non sono più le parole ma altro. Quando occhi perfettamente truccati che appaiono unici segni di riconoscimento di molte, troppe non posso dirlo, donne che vestono un burka. Parlano forte con lo sguardo, ma forse sono io che immagino quanto vogliano raccontare mentre comprano make up. Altre ancora con il solo hijab che sembra rendere tutto il suo significato, non tanto di velo, ma quanto di separazione. Da noi altri, dal mondo, o forse da quelle che davvero vorrebbero essere. Se solo fosse diverso... A Oxford street c'è posto per tutti questi pensieri se solo ti fermi ad osservare. Sguardi veloci, mai fissi negli occhi. Nessuno si deve accorgere che stai notando. Forse potrebbe pensare che esiste? Questo pensiero me lo porto in tasca, lo adopero spesso. La little Italy di Londra rimane sempre Harrods. Meta di turisti con cartina alla mano, perennemente imbronciati e che ancora non hanno imparato che sugli autobus da una parte si sale a dall'altra si scende, non si fanno le cose a caso. Avviso qualcuno che tiene la borsa in maniera distratta, parlando in maniera disinvolta con gli amici, di fare attenzione. Rubano portafogli, mi è successo ieri. Mi guardano sbigottiti. Bravi a fare gli spavaldi solo quando si fa per ridere e inorriditi al pensiero che qualcuno possa violare la loro invulnerabilità. Ringraziano. Se li deruberanno sarò stata annunciatrice di svenure, se non, se ne dimenticheranno. Non ho ancora capito le dimensioni di Kigh Street Kensington, sembra sempre infinta, eppure così piccola. Mi piace provare ogni volta a tornare a casa a piedi, ma poi sugli ultimi chilometri i piedi cedono al grande mezzo rosso che passa davanti a loro con il numero 9. Autobus.